La compagnia “Touch” nasce in Serbia tra fine febbraio e la prima settimana di marzo del 2023, Grazie al progetto “T.o.u.c.h” Theather oureach: unravelling connections in humans – (cofinanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma Europa Creativa).
La residenza artistica presso cui si è svolto il lavoro creativo è locata in una piccola cittadina della Serbia chiamata Vrsac. Obiettivo della residenza artistica è stata la creazione di una co-produzione internazionale inclusiva basata sull’ approccio del teather outreach in cui il metodo del teatro sociale è stato utilizzato per il coinvolgimento e l’empowerment dei tre gruppi target a cui appartengono gli attori della compagnia internazionale: giovani senza cure parentali, adulti con disabilità, giovani disoccupati.
Tra i partecipanti vi sono: direttori artistici, assistenti alla regia e uno scenografo insieme ai gruppi di attori appartenenti alla nostra associazione italiana Uniamoci che si occupa dell’inclusione sociale di giovani e adulti con disabilità, l’associazione “Cepora” che si occupa di giovani orfani e la compagnia teatrale Empiria Teatar”.
Entrando nel vivo del racconto.
In 14 giorni, (24.02.2023 – 09.03.2023) i tre gruppi nazionali hanno trovato un canale comunicativo unico per collaborare, per ovviare alla diversità linguistica, così hanno svolto le attività in inglese.
Il gruppo serbo, una volta arrivati presso la loro residenza, ci ha accolto con dei giochi di conoscenza e man mano ci ha avvicinato, attraverso degli esercizi e delle attività, al teatro sociale.
Cos’è il teatro sociale? È un’esperienza immersiva di una pratica sperimentale e di ricerca di teatro che coinvolge degli utenti con disagio psichico, fisico o sociale. Obiettivo è mettere in scena con fine educativo-sociale tematiche e situazione di sofferenza o di difficoltà personali dei partecipanti per aiutarli a sviluppare il proprio potenziale di crescita individuale e di gruppo.
Oltre l’empowerment, il teatro sociale ha un obiettivo importante che è quello di disvelare i meccanismi di oppressione che vivono alcune persone nella società.
Si serve delle narrazioni personali o di gruppo e attraverso un atto comunicativo consente a chi ne è coinvolto di uscire dall’invisibilità per rivendicare la propria unicità e integrità.
È altresì potente perché sposta la posizione degli attori in scena da vittime passive ad una attiva, perché questi rivendicando il proprio spazio personale e il proprio potere che hanno sentito violato e di aver perso, riacquistano attraverso la visibilità, data dal teatro, la propria voce quindi parte di quel processo che li condurrà verso una maggiore consapevolezza del proprio potere personale.
I partecipanti al progetto T.o.u.c.h. hanno collaborato intensamente per la creazione di questa compagnia internazionale. Noi di Uniamoci abbiamo portato in scena in particolar modo due storie di discriminazione vissute da due partecipanti con disabilità. La nostra associazione è de sempre sensibile a questa tematica sociale e crediamo altresì nell’obiettivo di creare inclusione, abbattendo muri e creando percorsi di empowerment.
È stato difficile per i nostri attori scavare dentro di sé per rintracciare episodi difficili, di discriminazione senza sentire le ferite dell’ingiustizia. del rifiuto, dell’umiliazione, dell’abbandono e del tradimento.
Tuttavia, nessuno è stato forzato a far questo, è stato un processo quasi naturale, seppur doloroso e nessuno è rimasto da solo in questo percorso.
Durante la condivisione, ogni partecipante ha percepito il luogo di creazione come un luogo protetto e sicuro; questo ha permesso di aprirsi e raccontarsi.
Mentre la piccola creatura cresceva e si preparava alla futura gestazione, i gruppi nazionali alternavano momenti di lavoro come gruppo più ampio a momenti di separazione nei gruppi nazionali.
Nelle altre aule, infatti, i gruppi della Serbia e della Croazia erano alle prese con la loro ricerca personale e creativa di significato, per dare voce alle loro storie.
Il gruppo serbo stava lavorando sulla tematica che per loro era maggiormente significativa, qual è la condizione dei giovani orfani nel loro paese, spesso discriminati in quanto tali e marchiati dall’opinione pubblica come soggetti sfortunati e destinati ad una vita dissoluta e di perdizione.
Il gruppo croato, invece, ha sentito l’esigenza di raccontare una storia di disagio giovanile legato alla disoccupazione e alle voci negative che molti giovani ascoltano e interiorizzano rispetto alla propria condizione di precarietà.
Spesso i giovani disoccupati sono vittime di contesti abusanti perché non hanno molte altre alternative, vivono emozioni varie legate all’impotenza, al non sentirsi compresi, sostenuti.
Sono storie forti e dure che raccontano drammaticamente la condizione che vivono alcuni soggetti disabili e non ogni giorno.
I partecipanti hanno voluto raccontare quello che hanno vissuto, come si sono sentiti e quali pensieri, emozioni e sensazioni riflettevano i loro corpi.
La maggior parte dei partecipanti sentivano un senso di oppressione e di impotenza, la sensazione di non avere possibilità di scelta e di aver perso la propria libertà.
Il team creativo che guidava ha deciso così di mettere in scena coraggiosamente altre storie comuni legate alla tematica della libertà e il potere personale.
La scena che vi vogliamo raccontare senza fare troppi spoiler è quella della tematica della libertà.
Due attori disposti per terra uno dietro l’altro muovono le braccia intenti a volare, mentre un altro attore ruota attorno ai due attori.
Mentre i due attori provano a spiccare il volo, l’altro girando dice: “stop”, facendogli credere di non poterlo fare. L’attore che era posto dietro l’altro dapprima seduto in difesa dell’altro comincia ad alzarsi e lottare con la voce negativa dell’attore che dice “Stop” al suono di “Libertà”
L’oppressore tenta di rubare lo spazio personale dei due attori.
Sullo sfondo, intanto, gli altri attori pian piano accorati cominciamo a sostenere gli oppressi pronunciando la parola “libertà”, in un crescendo emozionante fino all’ultima battuta dove in piedi urlano tutti insieme “libertà”. La voce negativa dell’oppressore che inneggiava a fermarsi esce dalla scena, liberando così gli oppressi che adesso attraverso il gruppo hanno guadagnato fiducia per tornare a volare liberi.
Il teatro sociale denuncia gli oppressori, mette in luce gli oppressi e rende evidenti le responsabilità di chi poteva fare qualcosa e non ha fatto nulla.
Nell’ultima fase del progetto si è lavorato insieme attraverso un lavoro sartoriale, dove registi e scenografi hanno fatto un lavoro meticoloso di montaggio, fatto di tagli, cuci e aggiustamenti vari
Mettere in scena temi importanti come quello della Libertà e del Valore personale non è soltanto difficile per chi deve interpretare quelle scene ma è anche pregnante perché carica di responsabilità.
Abbiamo pensato, così, di essere provocatori, utilizzando la metafora del circo perché pensavamo che fosse la più efficace per rappresentare la realtà disvelata della discriminazione con i suoi meccanismi di oppressione. Il messaggio è questo: “Tutti siamo responsabili, nessuno ne è escluso”.
Nell’ultima scena tutti gli attori muovendosi verso il pubblico recitano:
“È tutto un grande circo, in questa fottuta vita e tu ne fai parte”.